IL RUOLO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI NELL’EMERGENZA PANDEMICA E LA REDAZIONE DEI PROTOCOLLI

Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma

IL RUOLO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI NELL’EMERGENZA PANDEMICA E LA REDAZIONE DEI PROTOCOLLI

Preliminarmente, vorrei ringraziare gli organizzatori per aver voluto invitare il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma che qui rappresento, in qualità di Segretario e Coordinatore della Commissione di Procedura Penale.

Mi congratulo, inoltre, per la scelta del tema, di ampio respiro, ma anche rivolto all’approfondimento dei profili pratici che spesso sono anche i più utili.

Venendo al merito, l’Avvocatura romana già prima del COVID-19 aveva recuperato un prestigio e un’autorevolezza prima sconosciuti.

Un esempio lo abbiamo tratto dall’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2020: mentre negli altri fori si imbastivano forme di protesta o uscite dall’aula in contemporanea ad alcuni interventi indesiderati, a Roma, quando si è trattato di parlare della prescrizione, sia il Presidente della Corte d’Appello che il Procuratore Generale f.f. hanno condiviso la posizione dell’Ordine degli Avvocati di Roma, riportando, addirittura, un brano di una intervista del nostro Presidente Galletti.

Faccio parte del Consiglio Giudiziario del Distretto di Roma – che, ricordo ai più giovani e quindi con minor dimestichezza della materia, è una articolazione decentrata del Consiglio Superiore della Magistratura – e nelle riunioni periodiche, insieme al Presidente dell’epoca della Corte d’Appello, Dott. Luciano Panzani, abbiamo pensato di creare un tavolo permanente di interlocuzione presso la nostra sede, tra tutte le cariche giudiziarie della Capitale.

Siamo quindi arrivati al periodo emergenziale già perfettamente “rodati”, al punto da essere stati in grado di organizzare delle rapide riunioni anche in condizioni di “distanziamento sociale”.

Durante il periodo di sospensione totale – i due periodi “cuscinetto” che si sono spinti fino all’11 maggio 2020 – abbiamo supportato strategicamente ed economicamente gli uffici giudiziari, creando una nostra task force telematica che ha ricevuto il plauso di tanti colleghi, anche non romani, attraverso la quale abbiamo, per così dire, “rimbalzato” le notizie che ci pervenivano dalle varie curie, pubblicandole sul nostro sito istituzionale e consentendo così ai colleghi di avere notizie, prima delle comunicazioni dei rinvii ufficiali, senza intasare telematicamente le cancellerie, placando così le legittime richieste di informazioni dell’Avvocatura che le cancellerie, già pesantemente sotto organico del 40%, tra lavoro agile e smart working, non erano in grado di evadere.

Successivamente al periodo “cuscinetto”, ogni curia ha dovuto approntare le proprie linee guida con la previa, necessaria, consultazione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e dell’Autorità Sanitaria.

Questo vuol significare che il Consiglio segnala e propone, ma il Presidente del singolo Tribunale può anche non provvedere nel senso raccomandato, dovendo necessariamente tenere conto delle esigenze e della forza lavoro delle proprie cancellerie, perennemente e gravemente sotto organico, come già detto in precedenza.

Nel primo periodo, quello di sospensione totale, ho partecipato alla redazione del primo protocollo, relativo alla convalida degli arresti ed al rito direttissimo, che ho trovato di grande utilità.

D’intesa con la Procura della Repubblica e il Tribunale di Roma, abbiamo ipotizzato che si potesse procedere per via telematica, onde evitare la traduzione del detenuto, offrendo al difensore una triplice possibilità: quella di collegarsi dalla camera di consiglio insieme al Giudice e al Cancelliere – l’obbligatorietà per il Giudice di operare dalla camera di Consiglio e non da remoto è stata una “conquista” dell’Avvocatura, non essendo affatto scontata – oppure dalle celle di sicurezza o dalla casa di reclusione insieme al detenuto o, infine, da remoto.

Il protocollo è stato accolto favorevolmente ed è riuscito a coniugare la tutela del contraddittorio con il rispetto della necessità di non bloccare l’amministrazione della giustizia. Io l’ho messo in pratica due volte e ho sempre scelto di stare vicino al detenuto con il quale sono riuscito a parlare prima del giudizio di convalida; se, invece, avessi optato per le altre due soluzioni, sarei, comunque, stato messo in condizione di sentirlo telefonicamente in via riservata.

È evidente che nulla può sostituire la contestualità data dalla compresenza nella stessa aula, ma in una situazione emergenziale, come quella che stiamo vivendo, mi è sembrato un inevitabile e onorevole compromesso.

Ricordo, ad esempio, di aver trovato difficoltà in uno dei due processi, nell’oppormi alle domande che il Pubblico Ministero poneva al mio assistito, in quanto si fondavano su delle acquisizioni di prove testimoniali avvenute in mattinata e a me sconosciute e di essermi dovuto addirittura alzare dalla mia sedia e posizionarmi davanti al detenuto per farmi notare dalla telecamera e dal Gip e ottenere l’accoglimento dell’opposizione, tra lo stupore dell’operante di polizia penitenziaria che vigilava sulla regolarità del collegamento.

Ugualmente utili sono gli altri due protocolli che abbiamo stipulato nell’ambito penale: il primo relativo al dibattimento, dinanzi al Tribunale Collegiale e Monocratico, che prevedono l’adozione obbligatoria del sistema delle fasce orarie, per favorire il distanziamento sociale e il secondo, dinanzi al Giudice delle Indagini Preliminari, che prevede lo svolgimento delle udienze in camera di consiglio mediante lo scambio di memorie tra le parti che concordino su questa opzione che – si precisa bene– non è obbligatoria, ma facoltativa.

Cosa dire ora in sede di commento: che siamo partiti con largo ottimismo sulla possibilità di consentire al processo, in alcuni casi, di perdere la contestualità, arrivando – grazie al collegamento da remoto – a “smaterializzare” le parti, salvo poi comprendere che la corsa alla migliore tecnologia, per evitare gli spostamenti e favorire la distanza raccomandata dalle autorità sanitarie, finiva con lo snaturare il senso dell’amministrazione della giustizia, con una pesante ricaduta sui diritti e la violazione o, quanto meno, l’appannamento, di insopprimibili garanzie.

Talvolta, nelle sentenze si legge addirittura che una determinata testimonianza non è credibile, anche per come è stata resa, oltre che per il suo contenuto, facendo esplicito riferimento alle forme di comunicazione non verbale o all’esito di un controesame particolarmente approfondito.

Oltretutto, al di là dei timori di natura costituzionale già avanzati dall’Avvocatura italiana, la decisione di estendere il processo da remoto al settore penale pone anche una questione, tutt’altro che irrilevante, di protezione dei dati personali.

Infatti, mentre il processo civile si sostanzia, in realtà, non già in un processo civile da remoto, ma in una piattaforma (proprietaria) e non realtime, di deposito di atti e documenti inerenti all’avvio e alle fasi del processo civile, nel settore penale, a ben vedere, non è ancora stato possibile rendere operativa una piattaforma di questo genere, anche per la delicatezza di una materia che deve garantire la riservatezza dei dati dei cittadini.

La partecipazione a distanza è prevista, in via eccezionale, solo per detenuti che rispondono di reati di particolare allarme sociale.

A seguito dell’emergenza COVID-19, però, è stato introdotto con decreto-legge il processo penale a distanza per tutti gli imputati detenuti e tale partecipazione non avviene attraverso gli strumenti già esistenti, ma con due programmi commerciali di una società estera, individuati dalla Direzione generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero. Si tratta di “Skype for business” e “Teams” di Microsoft, regolarmente in funzione senza che sia possibile comprendere se il loro utilizzo consenta di rispettare le garanzie minime di sicurezza.

Tutte queste ragioni ci hanno indotto – come Consiglio dell’Ordine – ad esaurire il ricorso ai protocolli, riservandoci di stipularli solo ove ci fosse un reale vantaggio per i cittadini e i professionisti che li assistono. In buona sostanza, non serve un protocollo per disporre i rinvii dei processi, potendosi provvedere a ciò con le linee guida dei Tribunali.

Può essere utile all’Avvocatura, invece, solo un protocollo nel quale si prevede il ricorso all’implementazione delle udienze, con accordi e reciproche concessioni tra le parti, nell’ottica della salvaguardia del bene comune.

Ne deriva che dobbiamo “smaterializzare” i documenti, ma non le parti del processo e, in quest’ottica, la buona concertazione tra l’Ordine degli Avvocati e i vertici della magistratura, cui accennavo inizialmente, ci ha portato ad ottenere dei risultati straordinari che inseguivamo da anni, quali la possibilità di ottenere le copie dei fascicoli, senza recarsi in cancelleria, relativamente alla Corte d’Appello, agli Uffici del Giudice per le Indagini Preliminari e alla Procura della Repubblica, relativamente ai procedimenti nella fase di chiusura delle indagini (415 bis c.p.p.).

Pertanto, dobbiamo trarre il massimo dalla tecnologia e soprattutto dall’informatica per limitare gli spostamenti e gli aggravi di lavoro sulle cancellerie, ma i processi dovranno celebrarsi solo nelle aule, unici luoghi deputati ad ospitarli, pena la compromissione delle garanzie del contraddittorio che nessuna epidemia dovrà mai pregiudicare, poiché è l’unica modalità con la quale, anche per ridurre gli errori, può articolarsi il processo.

C’è molto ancora da fare e sicuramente è lecita la protesta dell’Avvocatura che abbiamo canalizzato, sostenuto e veicolato con i media, in quanto, obiettivamente, la ripresa della c.d. “fase due” non è stata sufficiente e le udienze da trattare potrebbero essere molto più numerose, pur nel rispetto delle precauzioni sanitarie. Deficitaria è, poi, l’organizzazione amministrativa delle cancellerie che pone a carico dell’Avvocato le inerzie del sistema.

Non mancheremo, quindi, di far sentire la nostra voce anche in questo periodo che ci auguriamo sia solo di passaggio verso una totale ripresa delle attività, consapevoli del fatto che, se non ci siamo fatti prendere dallo sconforto e dalla paura nei momenti più gravi, mantenendo sempre aperta la struttura del Consiglio dell’Ordine e prodigandoci per il bene comune, non lo faremo certo ora che si intravede una luce, forti del sostegno dei tanti colleghi che ci hanno scritto per ringraziarci, ma anche per fornirci dei preziosi suggerimenti ai quali non avevamo pensato.