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La sfida di Ocf? Aprirsi al territorio e portare l’avvocatura a via Arenula

Il nuovo coordinatore dell’Ocf, il penalista Mario Scialla, traccia la rotta dopo la sua elezione di qualche giorno fa.

«Ho scelto di dare il mio contributo all’Organismo congressuale forense – dice al Dubbio -, perché ritengo che sia rimasto compresso negli ultimi anni, pur avendo una potenzialità enorme. Il mio augurio è che ci sia una decompressione, ma non delle sue cariche, non del coordinamento, ma di tutti i 54 componenti. I loro curricula e le loro competenze di alto profilo parlano chiaro. L’Ocf deve necessariamente dare di più e questa è la mia grande speranza».

Avvocato Scialla, il nuovo corso dell’Organismo congressuale forense inizia con quale parola? Innovazione, rilancio, speranza?

Io direi innovazione su alcuni punti, nel senso che prendiamo ciò che di buono ci è stato lasciato. Abbiamo, però, anche idee nuove, riguardanti il ruolo che avrà Ocf, compresa la modalità con cui dovrà operare. Mi spiego meglio. Io credo che non ci sia bisogno di un organismo statico o che guardi troppo a se stesso. Noi dobbiamo aprirci innanzitutto al territorio. La composizione dell’ufficio di coordinamento risente di questa esigenza. Ocf vanta la presenza di colleghi con profili altissimi, facenti parte dell’assemblea. Colleghi con grande esperienza a livello ordinistico. Dobbiamo, inoltre, rispondere il più possibile alle esigenze che provengono proprio dal territorio. Noi siamo ancora poco conosciuti rispetto al volume di idee che vengono prodotte.

Il nuovo metodo di lavoro servirà ad aumentare l’interlocuzione con gli Ordini territoriali?

Sicuramente. Senza tralasciare il fatto che Cnf e Cassa Forense sono i riferimenti più importanti. L’innovazione sta proprio nel nuovo approccio in cui siamo impegnati tutti, che parte dall’idea di un lavoro sinergico con le associazioni che stanno dentro l’Ocf. Nella prossima adunanza convocheremo le associazioni più rappresentative. Un conto è far loro una sintesi, parlare su tavoli separati. Un conto è fargli vivere in diretta quanto stiamo elaborando. Nell’avvocatura assistiamo ad un significativo dualismo tra componente ordinistica e componente associativa.

L’Ocf e l’ufficio di coordinamento riusciranno a fare sintesi proprio fra le due componenti?

Questa è un po’ la scommessa. Io credo in questa figura che solo apparentemente è ibrida. Ricordo che quando partecipai ai lavori di preparazione dell’Ocf, ad un certo punto, emerse un tema con il quale ebbi modo di confrontarmi con il mio amico e collega Antonino Galletti, presidente del Coa di Roma. Se una persona è stimata ed intercetta tanti voti nel Foro di appartenenza, in quanto ritenuta molto capace, perché dobbiamo impedirgli di fare parte dell’Organismo congressuale forense? All’epoca tale questione venne risolta, consentendo ai colleghi dei Fori di dare un contributo importante. Non parlerei, quindi, di dualismo, ma di sintesi. L’autonomia di pensiero dell’associazionismo, unita al sano pragmatismo di chi ricopre una carica nei Coa, consente di dare alle idee gambe forti e resistenti.

Articolo tratto dal “Il Dubbio” del 29 ottobre 2022

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