L'UDIENZA PRELIMINARE

DIRITTO E PROCEDURA PENALE

L’UDIENZA PRELIMINARE

Per comprendere adeguatamente le impor­tanti ed incisive modifiche che la Commissio­ne di studio per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale ha riservato all’udienza preliminare, occorre soffermarsi un attimo su quella che nella stessa relazione appare, più volte, essere la filosofia che anima l’intera proposta: quella cioè che un numero decisamente inferiore di procedimenti dovrebbe approdare al giudizio mediante l’introduzione di criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, il mutamen­to della regola di giudizio del!’ archiviazione, l’introduzione del!’ archiviazione meritata, il restringimento della regola di giudizio dell’udienza preliminare – ove permanga – l’introduzione dell’udienza predibattimentale in tutta l’area dei procedimenti assegnati alla composizione monocratica del Tribunale, il deciso rafforzamento dei riti alternativi, l’estensione della procedibilità a querela, l’estensione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Lo scopo dichiarato è quindi quello di con­sentire una definizione anticipata di un nume­ro molto più elevato di procedimenti, che non dovranno raggiungere, pe1tanto, la fase del giudizio.
Su questa impostazione è sicuramente con­corde l’Avvocatura che già all’apertura del XXX Congresso Nazionale Forense di Genova del 25 novembre 201 O, aveva elaborato e pro­posto un documento che ipotizzava una raziona­lizzazione del sistema ed un recupero di celerità, mantenendo ben salde, al centro, le garanzie.

È bene, a questo punto, una volta compresa la filosofia di fondo dell’intervento in materia, verificare lo stato attuale del!’ arte, onde valo­rizzare la bontà dell’intento che muove la Commissione.
Il codice del 1988 prendeva a modello quanto previsto dal sistema processuale dell’Inghilterra, ipotizzando che attraverso i riti alternativi ed il filtro dell’udienza prelimi­nare sarebbero pervenuti a dibattimento solo il 10% dei procedimenti che avrebbero potuto – quelli solo sì – essere trattati adeguatamen­te, con tutte le garanzie riservate al dibattimento.

Invece, già dopo pochi anni, si è avviata la riflessione circa l’inefficacia dell’udienza pre­liminare a svolgere il molo di filtro attribuito­le dalla sistematica del codice “Vassalli”.

Infatti nonostante i plurimi interventi di modifica, dopo trent’anni, i dati statistici sono impietosi e dimostrano che, nei casi in cui l’udienza preliminare si conclude con un rinvio (ossia nel 63%) dei casi, essa genera un au­mento di durata del processo di primo grado di circa 400 gg.. Complessivamente, l’udienza preliminare filtra poco più del 10% delle impu­tazioni per i processi nei quali è prevista e non incide peraltro in modo significativo sul tasso dei proscioglimenti in dibattimento.
Quindi il filtro è del tutto inverso a quanto inizialmente sperato in quanto procede verso il giudizio non esclusivamente il 10% di quanto pervenuto ma bensì addirittura il 90%!

Ad onor del vero occorre dire che anche il modello inglese è in crisi, atteso che l’udienza preliminare anglosassone, nata soprattutto come sbarramento delle imputazioni azzardate del privato, è stata trasformata in contradditto­rio cartolare ed infine abbandonata, in favore di un filtro, a richiesta, davanti allo stesso giudice del trial.

È quindi evidente che sono naufragati tanto il modello inglese che la “riedizione” italiana ed occorra, in un futuro migliore, ripartire da qualcos’altro.

Ed infatti, in quest’ottica, la nuova udienza preliminare, da un lato, subisce una limitazio­ne del suo ambito applicativo, come nel caso del giudizio abbreviato condizionato a van­taggio del giudice del dibattimento e dall’altra è destinataria di una ristrutturazione comples­siva, con la rielaborazione della stessa regola di giudizio per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere.
A conferma delle perplessità avanzate poco sopra, si è focalizzata l’attenzione anche sulla scarsa ricettività, manifestata in questi anni, dal giudice per l’udienza preliminare, nei riguardi dell’assunzione delle prove nel rito abbreviato, e si sugge1isce di prendere atto delle difficoltà incontrate dalla Legge 4 79 del 1999 e, di con­seguenza, spostare l’abbreviato condizionato davanti al Giudice del dibattimento, quale giu­dice naturalmente portato all’ ammissione ed alla assunzione della prova.

Mentre infatti il Giudice dell’udienza pre­liminare è sostanzialmente estraneo al feno­meno istruttorio e ciò lo porta ad una tenden­ziale chiusura all’ammissione di nuove prove, il giudice del dibattimento, invece, avrà una naturale propensione ad accogliere la doman­da, essendo, oltretutto, il diretto beneficiario del risparmio garantito dal rito speciale.
Assai importante ed assolutamente conse­guenziale con le premesse tracciate, è la muta­ta regola di giudizio della nuova udienza pre­liminare, di cui all’art. 425, comma 3, c.p.p .. La previsione è quella che il “giudice pronun­ci sentenza di non luogo a procedere laddove emerga che gli elementi acquisiti 11011 sono ta­li da determinare la condanna”.
Si nota quindi un allineamento con l’analoga previsione in sede di archiviazione, risultando basata, pur nella diversità del mo­mento, sulla medesima valutazione di suffi­cienza degli elementi raccolti ai fini della condanna in dibattimento.
L’udienza preliminare che si delinea, pertan­to, prevede innanzitutto che il Giudice dell’udienza preliminare verifichi il rispetto dei requisiti minimi dell’accusa, individuati dall’art. 417, comma 1, lettera b), c.p.p. e rilevi, anche di ufficio, l’eventuale nullità ex art. 180 c.p.p., che potrà essere sanata dal pubblico ministero con un tempestivo intervento integrativo.

Al fine di evitare che l’udienza preliminare possa rappresentare una sorta di inutile aggra­vio processuale, viene implementata la sua in­cidenza pratica anche nell’ipotesi di futuro di­battimento, in quanto diverrà la sede per pun­tualizzazioni che, consentendo una più precisa ricostruzione dei fatti – cosi come emersi dagli atti di indagine – favoriscano l’eventuale defi­nizione con rito alternativo e, in caso di rinvio a giudizio, il pieno rispetto dei diritti della di­fesa. E soprattutto si fa riferimento alla formu­lazione dell’imputazione nell’udienza prelimi­nare che deve calibrarsi sui dati probatori, evi­tando passaggi, per cosi dire, evanescenti.
Questo punto è particolarmente importante e se ben esercitato risulterà probabilmente de­cisivo, in quanto spesso delle imputazioni ec­cessivamente prolisse e non sostenute da un adeguato vaglio, della Procura prima e del Giudice dell’udienza preliminare poi, impedi­scono, alla difesa, il ricorso ai riti speciali e costituiscono anche una gravosa ed inutile za­vorra per il successivo dibattimento che sarà costretto a confrontarsi con le prove anche su aspetti e circostanze evanescenti e suggestive che con un adeguato filtro a monte o in udienza preliminare avrebbero potuto essere prece­dentemente eliminati.
In buona sostanza se effettivamente l’udienza preliminare svolgerà la sua “missione” ad avvan­taggiarsi sarà soprattutto il dibattimento, con una positiva ricaduta, poi, su tutto il sistema.
Ma allo stesso modo occorre osservare che se arriveranno troppi processi non adeguata­mente “controllati” dalla Procura della Re­pubblica non è assolutamente ipotizzabile che l’Ufficio del Giudice per le indagini Prelimi­nari riesca ad approfondire la disamina degli stessi, sfrondandoli degli inutili e soprattutto indimostrati assunti accusatori.
Dovranno quindi funzionare efficacemente tutte le modifiche ipotizzate a monte per le indagini preliminari poiché in caso contrario torneremmo a confrontarci con la situazione attuale nella quale cioè, stante il carico di la­voro eccessivo, il Giudice per l’udienza pre­liminare può concentrarsi adeguatamente solo sui giudizi abbreviati, limitando la verifica sui rimanenti fascicoli solo sui casi di più imme­diata e pronta percezione.

Procedendo oltre nella disamina dell’udienza preliminare, effetto di questo novum legislativo, dunque, per la Commissione Lattanzi, la “richie­sta di rinvio a giudizio costituirà atto formale di esercizio dell’azione penale soltanto per le fatti­specie di competenza della corte d’assise e di quelle attribuite alla cognizione del tribunale in composizione collegiale”, posto che solo “in re­lazione a tali fattispecie (e a quelle che, pur at­tribuite alla composizione monocratica del tri­bunale, saranno specificamente individuate. dal legislatore delegato) sarà{. . .] mantenuta la ce­lebrazione del! ‘udienza preliminare, caratteriz­zata dalla nuova regola di giudizio che impone la pronuncia della sentenza di non luogo a pro­cedere in tutti i casi in cui gli atti 11011 appaiono tali da determinare la condanna”.

Nell’ottica poi del recupero di funzionalità del sistema, si prevede che, “nei processi con udienza preliminare, l’eventuale costituzione di parte civile debba avvenire, a pena di de­cadenza, entro il compimento degli accerta­menti relativi alla regolare costituzione delle parti, a norma dell’art. 420 c.p.p.”.
Quindi l’udienza preliminare rappresenterà il termine ultimo per la costituzione di parte civile dei legittimati, in modo da consentire a tutte le parti un più effettivo esercizio del di­ritto alla prova.
Quello prospettato appare un sacrificio ac­cettabile, atteso che la patie offesa che abbia notizia del procedimento e dell’udienza pre­liminare normalmente, già oggi, si costituisce parte civile immediatamente, proprio per ri­durre il rischio di una sentenza di non luogo a procedere e soprattutto per rendere più sem­plice la presentazione della lista testi, artico­lando meglio le proprie prove.
Da tutto ciò ne trarrà, ancora una volta, sicuro beneficio il dibattimento, soprattutto nei processi collegiali più complessi ed articolati, che esordirà con maggiore celerità, evitando il rallentamento delle prime udienze dedicate alla costituzione di parte civile delle associazioni e degli enti espo­nenziali e delle eccezioni difensive. Tutto questo approfondimento, infatti, avverrà e si concluderà nella fase dell’udienza preliminare.

In sede di commento conclusivo è bene interrogarsi, anche alla luce della prospettata ri­forma, quale potrà essere realisticamente il fu­turo dell’udienza preliminare.
Infatti le pur lodevoli proposte della Com­missione saranno prevedibilmente destinate a scontrarsi con i numeri’ impietosi dei proce­dimenti che annualmente proverranno dalla Procura della Repubblica.
Ed allora, preso atto della situazione con-verrebbe forse ipotizzare che l’udienza preliminare non sia più obbligatoria, nel senso che una volta che il Pubblico Ministero abbia rac­colto le prove le trasmetta all’Ufficio del Giu­dice delle Indagini Preliminari.
A quel punto, magari su istanza della dife­sa che prospetti l’utilità di un serio vaglio del!’ ipotesi accusatoria ma certamente su ini­ziativa del Giudice delle Indagini Preliminari, quest’ultimo avrebbe il potere di decidere lo svolgimento dell’udienza preliminare, eserci­tando un vero e proprio giudizio di merito, come previsto dalla giurisprudenza della Cor­te Costituzionale, analizzando concretamente l’eventuale insufficienza e contraddittorietà della prova ed avendo a disposizione anche dei poteri di integrazione probatoria.
Quindi, in buona sostanza, si perderebbe il riferimento automatico tra udienza prelimina­re e tipologia di reato, come avviene oggi e come prospettato dalla Commissione, ed in­vece la decisione se prevedere o meno l’udienza preliminare dipenderebbe esclusi­vamente dalla modalità con cui il Pubblico Ministero ha raccolto le prove e soprattutto dalla loro valenza.
Si opererebbe in tal modo un vero allegge­rimento procedurale, destinando le risorse esclusivamente a quei procedimenti che siano meritevoli di una ampia, efficace e penetrante verifica, in modo che ciò che eventualmente superi l’attento vaglio del Giudice dell’udienza preliminare possa poi andare in maniera spedi­ta verso il dibattimento, senza inutili zavorre rappresentate da suggestive ipotesi accusatorie prive però di adeguato rischio.